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Chiesa di S. Antonio

Descrizione

Gioiello artistico del '400. Conserva affreschi della scuola veneta di altissima qualitą e tra i pił significativi del Rinascimento in Valle Sabbia. Il recente accuratissimo restauro (Seccamani)consente una fruizione poetica e pittorica di grande elega

Dove

Indirizzo: S. Antonio 25070 Anfo

Orari

Visite guidate gratuite su appuntamento. 
Contatti: Romeo Seccamani tel +39 3355441850 
email: Seccamaniromeo@gmail.com ( italiano/inglese)

Modalità di Accesso

Luogo privo di barriere architettoniche ed accessibile a tutta la cittadinanza.

 

Ulteriori informazioni




Storia

La chiesa di Sant’Antonio de Castrum o Casterio, così denominata fin dalla prima metà del Quattrocento, tramandata dalla memoria orale dialettale come Sant’Antonio di Castér, si erge sul dosso dove prima esisteva il castrum di Summo Lago a guardia della valle trentina e che domina la via maestra che costeggia il lago d’Idro, nel punto in cui da quella si stacca la strada che conduce a Bagolino.
Alcuni elementi architettonici inducono a pensare che la chiesetta esistesse già nel secolo XIII, da quando, dopo il 1250, in seguito a una guerra, il confine tra Brescia e Trento è spostato sul fiume Caffaro e il territorio dove sorge il tempietto passa alla comunità di Anfo.

Nel Trecento sappiamo che la chiesetta esisteva e che ospitava, sia sulle superfici interne sia su quelle esterne, affreschi di prim’ordine, dei quali ancora preserva alcuni significativi lacerti.
In coincidenza con l’inizio del dominio veneto (terzo-quarto decennio del Quattrocento) essa venne per tre quarti demolita, e ricostruita più ampia e con molte modifiche. Della vecchia costruzione fu preservata la parte est con al fianco il campanile, ora ritenuto il più antico della valle. All’atto di quella demolizione sulla parete interna nord si estendeva per tutta la sua lunghezza un grande affresco raffigurante l’Ultima Cena, di cui è rimasto visibile un solo ma singolare frammento: la figura intera di un Apostolo.

Nei decenni successivi la chiesetta, che era coperta da un tetto ligneo a vista, fu completamente munita di eleganti volte a vela, un intervento a quei tempi inusuale per una chiesetta periferica. Qui, al confine dello Stato Veneto, erano di casa i conti di Lodrone.
Nella seconda metà del Quattrocento Bernardino Lodrone sposa Polissena Colleoni, figlia del grande condottiero bergamasco, e costruisce la sua dimora in Valledrane ad Anfo e crea alcune attività sfruttando la forza idraulica del torrente Re.

Negli anni Ottanta del Quattrocento la Serenissima Repubblica fa erigere, a difesa del confine, la rocca d’Anfo proprio poco distante di Sant’Antonio di Castér; in quegli stessi anni nella chiesa vengono eseguiti importanti cicli di affreschi. Certamente questi dipinti possono perciò essere ritenuti opera di maestri veronesi impegnati alla rocca.

Questa zona di confine, tra Anfo e Lodrone, era allora frequentata da personaggi quali Gianfrancesco Martinengo e altri umanisti e artisti dell’ambiente veronese, compreso addirittura – se si dà attendibilità a quanto riportato dal Vasari – Fra Giocondo e il suo dichiarato piccolo alunno Giulio Cesare Scaligero. Possiamo perciò avere un’idea di quale fosse il fermento culturale nei dintorni di Sant’Antonio di Castèr.


Gli affreschi raccontati

Oltre ai significativi frammenti trecenteschi, due sono i cicli fondamentali affrescati in Sant’Antonio sul finire degli anni Ottanta del secolo XV: quello nel presbiterio e quello nella cappella laterale, ritenuti, per uniformità tecnico-stilistica, coloristica e continuità
esecutiva, ambedue della stessa rinomata bottega veronese.
Seguendo lo schema iconologico consueto del tempo, nel presbiterio sono dipinti sulla volta a crociera i quattro evangelisti, sulla parete di fondo la Crocifissione   e sulle pareti laterali la vita di un santo, qui si tratta di sant’Antonio abate.
Il pittore realizza però tali temi in modo del tutto originale. Nella Crocifissione ha suddiviso in due schieramenti distinti i partecipanti al sacrificio creando un modello e un movimento nuovi: da un lato descrive il tumultuoso e vociferante partecipare dei popolani, alla sinistra del Cristo, dall’altro, è rappresentato lo sgomento dei dignitari. L’altro tema è la parola salvifica di Cristo trasmessa dagli Evangelisti, che come di consuetudine sono dipinti nelle quattro parti della volta a crociera. L’artista si è ispirato certo agli Evangelisti dipinti pochi anni prima dal Foppa nella chiesa del Carmine a Brescia, ma qui le figure sono realizzate in dimensioni maggiori, in modo da avvicinarle e renderle
più affabulanti verso chi le osserva.

La vera e singolare originalità iconografica e narrativa dei dipinti suddetti si trova però sulle due pareti che illustrano la vita di sant’Antonio, in quanto l’ispirazione è tratta direttamente dalla vita del santo egiziano scritta dal suo contemporaneo e conterraneo sant’Atanasio. Lo dimostra in fatto che qui non vi è traccia di fuochi né di maiali, elementi che sono invece presenti di solito nelle rappresentazioni pittoriche di sant’Antonio abate.

Del ciclo pittorico eseguito nell’attigua cappella, sul lato est verso il lago, opera della stessa bottega dei pittori che lavorarono
nel presbiterio (gli stessi probabilmente che decorarono anche la chiesetta della rocca d’Anfo dedicata a san Sebastiano, e ora scomparsa), non rimangono che pochi resti, sufficienti però a darci non solo la misura della qualità poetico-pittorica dei dipinti, ma anche la possibilità di individuare che tali opere rappresentano un fatto illustrativo particolarissimo, più unico che raro.

Se nel presbiterio abbiamo la rappresentazione delle basi del Cristianesimo nel suo complesso, qui nella cappella era illustrato iconograficamente il suo significato più esteso: la purificazione per la salvezza e il sacrificio dei martiri. La cappella era dedicata a coloro che si erano battuti fino al martirio con gesto eroico, come tanti Ercoli. I martiri infatti sono qui incasellati come tante effigie statuarie dentro le edicole di un piccolo tempio dedicato a Ercole. Il tempio dell’eroe greco come introduzione al sacrificio cristiano, come preambolo e contenitore dei martiri seguaci di Cristo. Le figure maggiormente conservate dentro la cappella riguardano proprio due brani del mito di Ercole. Sono due episodi della vita dell’eroe dipinti nelle due lunette, meno visibili, della cappella poco spaziosa, in alto sopra la finta trabeazione all’interno dell’arco. In una delle due lunette è raffigurato Ercole fanciullo aggrappato grintoso alla criniera di un cavallo imbizzarrito, e rappresenta l’addestramento dell’eroe a domare fin da piccolo la forza del quadrupede. Nell’altra lunetta Ercole compie una delle sue imprese più ardite, uccide l’Idra nella palude di Lerna. Tale scelta certamente è stata fatta in riferimento al lago d’Idro e il dipinto presenta decise analogie formali con la tavoletta degli Uffizi, dello stesso soggetto mitologico, dipinta dal Pollaiolo.(ERCOLE UCCIDE L'IDRA.jpg)

Sulla parete di fondo della cappella, sopra la finta trabeazione, nelle due lunette bene in vista e frontali a quelle di Ercole, era dipinta l’Annunciazione, ora perduta. Nella lunetta sulla parete nord, tra Ercole fanciullo e l’angelo annunciante sta l’effigie di Simonino di Trento (forse il primo dipinto che si conosca dedicato all’episodio trentino accaduto circa solo un decennio prima). Nella lunetta opposta a Simonino, sulla parete sud, fra la Madonna ed Ercole che uccide l’Idra, si trovava santa Caterina di Alessandria.

Sotto la finta trabeazione, nel registro inferiore, una sequenza di eleganti finte nicchie ospitavano altri santi martiri tra i quali i patroni di Brescia Faustino e Giovita. Sui pilastri dell’arco di ingresso alla cappella sono tuttora visibili altri due martiri, Stefano e Biagio. Sono opere non ancora adeguatamente conosciute che meriterebbero altri approfondimenti e autorevoli commenti per dar loro il ruolo che meritano e magari per poter giungere a indicare con convinzione l’autore. Infatti, la chiesa di Sant’Antonio di Castèr di Anfo conserva le opere pittoriche più significative e innovative realizzate nel Rinascimento in Valle Sabbia e nel Bresciano tutto, nel periodo tra il Foppa e i tre straordinari pittori del Cinquecento, Savoldo, Romanino e Moretto (R. Seccamani). Si tratta di un maestro
che si distinse per come orchestrava sonorità e ritmo dei colori, per come scandiva forme e spazi e modellava con incisivo nitore calligrafico la plasticità delle figure con cui sapeva narrare sentimenti e fatti umani. Tale pittore era dotato di una sensibilità che sta certamente tra quella del Foppa, del Mantegna e dei grandi toscani del Quattrocento. Un maestro che, per quanto riguarda la probabile area di provenienza, mi fa pensare a Liberale da Verona, anche per la coincidente presenza in quel periodo di particolari maestranze e intellettuali che operavano nella rocca d’Anfo.

Ultimo aggiornamento

mar 25 giu, 2024 2:02 pm

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